In un articolo pubblicato a Maggio 2018 Il ritocchino ai tempi del selfie vi avevo raccontato che i trattamenti di medicina estetica erano e sono tuttora sono in continuo aumento, soprattutto tra i millennials.
Il motivo per cui i giovani ricorrono sempre più spesso alla medicina estetica è quello di apparire più belli sui social e di conseguenza catturare più like.

Nell’articolo, che riassumo qui di seguito, vi avevo raccontato che secondo un’indagine del 2017, condotta dall’American Academy of Facial Plastic and Reconstructive Surgery, più della metà dei chirurghi plastici intervistati, aveva dichiarato che la maggior parte dei propri pazienti sente l’esigenza di un ritocco in quanto insoddisfatta della propria immagine postata sui social network.
Un sondaggio effettuato dalla Sicpre (Società italiana di Chirurgia Plastica Ricostruttiva ed Estetica), www.sicpre.it , indicava che i pazienti che si rivolgono al chirurgo plastico in seguito all’insoddisfazione causata dai propri selfie, sono per:
- l’83% donne,
- il 17% uomini.
Gli aspetti da sottolineare in questa ricerca, oltre alla giovanissima età dei pazienti, erano, secondo quanto dichiarato da più medici, che i pazienti:
- non partono dall’analisi reale della loro immagine, ma dall’analisi di un autoscatto, quindi da un elemento virtuale che peraltro non riproduce la realtà in modo totalmente oggettivo,
- non si riferiscono a modelli estetici esterni. Infatti, se negli anni passati era molto più usuale che i pazienti mostrassero foto di attrici e modelle, oggi invece sembrerebbe prevalere la tendenza a partire dalla immagine di sé stessi, migliorata attraverso i filtri di Instagram.
Proprio per cercare di arginare questa deriva, definita in USA un problema di salute pubblica, il chirurgo Paskhover, in collaborazione con un team di informatici guidati da Ohad Fried, ricercatore presso il dipartimento di Computer Science della Stanford University, aveva creato un modello matematico ideale di un volto maschile e di uno femminile, mediante il quale è riuscito a calcolare la distorsione del viso creata da foto scattate a distanza ravvicinata. Il suo intento è quello di far capire ai giovani che “quando si fanno selfie, in sostanza si stanno guardando in uno specchio come quelli che si trovano nelle case dell’orrore dei parchi di divertimento“.
Il modello Rutgers-Stanford, pubblicato su JAMA Facial Plastic Surgery, Nasal Distortion in Short-Distance Photographs: The Selfie Effect., a Marzo 2018, mostra che se la fotocamera è a soli 30 cm di distanza dal viso, la distanza media di un selfie, il naso sarà, del 30% più largo se si tratta di un uomo, e del 29%, nel caso di una donna. La punta del naso apparirà del 7% più grande, rispetto al resto del naso, di quanto non sia in realtà.
La pandemia, lo Smart Working e la ZOOM Dysmorphia
Ebbene a questo fenomeno, già abbastanza preoccupante, se ne è aggiunto attualmente un altro, determinato dai cambiamenti sostanziali che la pandemia ha apportato nelle nostre abitudini di vita, nei nostri comportamenti nel nostro modo di essere e di rapportarci con gli altri e anche con noi stessi.
A seguito della pandemia, i cambiamenti più evidenti sono avvenuti nel modo di lavorare. La nostra società è passata rapidamente ad una modalità di lavoro “in presenza” ad una modalità “a distanza”. Inoltre è cambiato radicalmente anche il nostro modo di socializzare e, per mantenerci in contatto con gli altri ed evitare l’isolamento, abbiamo sempre più utilizzato il sistema della “videochiamata”.
Niente più rapporti diretti, ma solo un continuo e sempre più intimo legame con lo schermo del nostro computer o del nostro telefono.
Zoom una delle piattaforme più utilizzate per le riunioni on line stima che i partecipanti alle videoconferenze siano cresciuti da quasi 10 milioni nel dicembre 2019 a oltre 300 milioni nell’aprile 2020.
L’aumentare della dipendenza da computer e da telefono, sembra, secondo i dati emersi da un’indagine condotta negli usa dall’American Academy of Dermatology, aver comportato un impatto significativo su moltissimi pazienti i quali, osservando continuamente la propria immagine riflessa in uno schermo hanno espresso auto-percezioni negative sul proprio aspetto.
Le persone, di fatto, costrette a confrontarsi con la propria immagine in video a volte per ore e ore ogni giorno, notano difetti mai osservati prima e sono turbati da come la loro immagine può apparire agli altri.
In conseguenza a questo fenomeno definito negli USA Zoom Dysmorphia, i dermatologi negli USA hanno registrato un’impennata delle richieste di trattamento da parte di pazienti che, da quanto dichiarato, desiderano risolvere inestetismi che hanno iniziato a notare solo osservandosi attraverso uno schermo e mai avevano osservato prima attraverso lo specchio.
La Zoom dysmorphia è definita come una percezione negativa alterata o distorta dell’immagine del proprio corpo trasmessa da una telecamera di un computer o di un telefono e causata dal trascorre troppo tempo di fronte a questi device.
I ricercatori hanno inoltre cercato di porre l’accento sul fatto che la percezione che le persone hanno della loro immagine attraverso uno schermo è distorta, così come sottolineato a proposito dei selfie, a causa delle proprietà intrinseche della tecnologia utilizzata, sottolinenando che le fotocamere frontali utilizzate nei vari device, possono cambiare le proporzioni del viso, peggiorando la percezione del proprio aspetto.
Foto A: Il viso quando la fotografia viene scattata a 31 cm . FotoB: il viso quando la fotografia viene scattata a 1,5 metri. C: Modello derivato della testa e del viso utilizzato per calcolare l’estensione della distorsione. Per il modello derivato, la linea tra A e B rappresenta l’ampiezza bizigomatica; la linea tra C e O, asse della telecamera; D, D ′, E ed E ′ sono punti di riferimento senza nome; la linea tra J e K, larghezza del naso; la linea tra O e N, lunghezza della testa dimezzata; la linea tra N e Z, protrusione del naso; la linea tra R e S, distanza intercrurale. Courtesy of https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/29494735
In un articolo, Zooming into cosmetic procedures during the COVID-19 pandemic: The provider’s perspective pubblicato a Gennaio 2021 su International Journal of Women’s Dermatology da alcuni dermatologi del Massachusetts General Hospital di Boston capeggiati dalla dermatologa Shauna M.Rice, si è cercato di indagare il fenomeno attraverso un questionario, inviato a 134 dermatologi, per capire se, nella loro pratica clinica avessero registrato un aumento delle richieste di trattamento e quale fosse la motivazione dei pazienti.
I risultati del hanno rilevato che:
- oltre il 50% dei dermatologi ha segnalato un aumento delle consultazioni per trattamenti di medicina estetica, nonostante si fosse nel bel mezzo di una pandemia,
- l’86% delle richieste di trattamento era motivata da una percezione negativa della propria immagine trasmessa da una telecamera durante una video conferenza.
Il cambiamento nei consulti di medicina estetica rispetto ai tempi pre-pandemici.
Inoltre un recente sondaggio effettuato presso un pubblico più ampio, ha messo in evidenza che il 40% degli intervistati ha dichiarato che, pur non essendosi mai sottoposto a trattamenti estetici di alcun tipo, aveva in previsione di eseguirne in un immediato prossimo futuro, in quanto preoccupato del proprio aspetto, percepito, durante le riunioni su piattaforme digitali, come non adeguato.
I medici consultati hanno riferito che i pazienti notano in particolare alcuni inestetismi quali:
- le rughe della parte superiore del viso (fronte e occhi) nel 77% dei casi ,
- le occhiaie nel 64,4% ,
- le macchie del viso nel 53% ,
- il cedimento del collo, nel 50%.

Conseguentemente dall’inizio della pandemia le procedure cosmetiche più richieste sono state:
- la tossina botulinica (94%),
- Filler (82,3%),
- trattamenti laser selezionati (65,4%) .
Inoltre l’82,7% dei medici ha potuto constatare che i propri pazienti, rispetto al periodo antecedente alla pandemia, sono significativamente più insoddisfatti del proprio aspetto e da quando hanno iniziato ad utilizzare la tecnologia per lavorare o per mantenere attivi i rapporti umani e sociali.

Vari studi (Shome et al., 2020, Woods e Scott, 2016 ) hanno messo in evidenza che i soggetti, sopratutto giovani, con livelli più elevati di coinvolgimento sui social media, hanno livelli più elevati di insoddisfazione corporea e depressione.
Uno studio ha infatti dimostrato che quando viene chiesto ad alcuni soggetti di pubblicare foto sui social media, nella maggior parte di loro si registra una diminuzione della fiducia in se stessi e aumenta il desiderio di sottoporsi a interventi di chirurgia estetica.
Sebbene Zoom non possa essere considerato un social media, è importante che chi utilizza questa tipologia di piattaforme, sia consapevole dei vantaggi, ma anche dei limiti della tecnologia. La telecamera così ravvicinata ingigantisce e distorce certi difetti, facendo sì che una persona noti alcuni inestetismi sui quali non aveva mai posto l’attenzione davanti ad uno specchio. Inoltre, in molte piattaforme, la propria immagine viene visualizzata a fianco di altri partecipanti alla riunione, comportando un facile confronto e auto-giudizio.
E’ evidente che Zoom, sebbene sia uno strumento molto utile, ha introdotto molte persone in un ambiente virtuale sconosciuto. Questa maggiore autoesposizione e l’immagine distorta degli schermi dei device può portare i pazienti a sviluppare o aggravare i sintomi da disturbo da dismorfismo corporeo (BDD body dysmorphic disorder), con la tendenza ad amplificare le preoccupazioni relative a difetti fisici, reali o immaginari e a causare danni funzionali.
Ed è opportuno sottolineare che, al di là della Zoom Dismorfia provocata dalla pandemia, da uno studio del 2016 , è emerso che circa il 9% -14% dei pazienti che frequentano gli ambulatori di medicina estetica presenta diagnosi di BDD e, nell’ambito della chirurgia estetica, si ritiene che la percentuale sia ancora più alta.
Tra l’altro, coloro i quali sono affetti da dismorfofobia, pur essendo alla continua ricerca di procedure e trattamenti finalizzati a migliorare il proprio aspetto percepito come inadeguato, raramente sono soddisfatti dei risultati, finendo in un ciclo di auto-insoddisfazione.
Shadi Kourosh, professoressa di dermatologia presso la Harvard Medical School di Boston, autrice di un articolo A Pandemic of Dysmorphia: “Zooming” into the Perception of Our Appearance. pubblicato su Facial Plastic Surgery & Aesthetic Medicine a Novembre 2020, fornisce alcuni suggerimenti utili per aiutare a combattere la “dismorfia da zoom”:
- cambiare la tecnologia: potrebbe essere utile l’utilizzo di una fotocamera esterna ad alta risoluzione per video di qualità ed una luce ad anello che illumini il volto ed elimini le ombre ,
- regolare la fotocamera posizionando lo schermo a una distanza maggiore dal viso e la fotocamera all’altezza degli occhi per ridurre al minimo la distorsione dell’immagine,
- ridurre la quantità di tempo trascorso di fronte alla fotocamera, disattivando il video durante le chiamate quando è possibile ,
- limitare l’uso dei social media. Poiché infatti il photoshop è altamente diffuso sui social media, è controproducente confrontare la propria immagine distorta dalle fotocamere frontali, con le foto modificate pubblicate sui vari social.
Le mie conclusioni
Due/tre volte alla settimana, come ben sapete, organizzo dirette sui social (facebook e Instagram) e quindi vedo molto spesso la mia immagine riflessa nello schermo si del telefono che del computer. Effettivamente mi capita a volta di non piacermi. Ma capita anche che mi veda meglio di come sono in realtà.
Dipende dalle luci, dal trucco (mai una volta che riesca a truccarmi nello stesso identico modo), da come riesco ad acconciarmi i capelli (anche in quello sono una frana) da come mi sento dentro. E che le serate non sono tutte uguali ve lo dimostro con il confronto delle immagini di due dirette.
E quando mi scrivete facendomi i complimenti, peraltro sempre graditi, per come stavo bene in quella foto o in quel video, tengo sempre a sottolineare a tutte voi che SONO SOLO FOTO O IMMAGINI, filtrate da una telecamera che non rappresentano la realtà. Credo che se qualcuno mi incontrasse per strada potrebbe vedermi diversa da come appaio attraverso uno schermo. Ma sinceramente non mi interessa e non mi preoccupo. Sono consapevole dei miei pregi e dei miei difetti e certamente non mi rivolgo al medico estetico per migliorarmi, solo perchè non mi piace la mia immagine riflessa nello schermo di un device. Conosco le potenzialità e i limiti della tecnologia e so perfettamente che a volte dà e a volte toglie.
Quello che invece mi preoccupa seriamente, sono le ragazze giovani che oltre ad essere essere influenzate da tutto quello che passa attraverso i social, potrebbero avere un’idea distorta della propria immagine che in questo lungo anno hanno osservato continuamente riflessa in uno schermo essendo costrette ad esempio alla didattica a distanza. Sono loro che vanno tutelate. E a cui il medico deve prestare una particolare attenzione.
Credo infatti che la comunità medica in generale e i medici estetici in particolare dovrebbero essere consapevoli di questa tendenza ed essere pronti ad affrontare la Zoom Dismorfia, cercando sempre di indagare e valutare la motivazione che spinge il paziente a richiedere un trattamento di tipo estetico e, laddove non ravvisano nessun inestetismo da correggere, bensì problematiche di dispercezione corporea, dovrebbe rifiutare il trattamento e indurre il/la paziente a cercare un supporto di ordine psicologico per evitare di alimentare un circolo vizioso di insoddisfazione.
Prima di tutto il medico estetico è un MEDICO e dovrebbe ricordarsi che nella sua professione è fondamentale PRIMUM NON NOCERE.
Non sempre è facile, ne sono consapevole. Il medico estetico e il chirurgo spesso non hanno capacità di analisi psicologica. Talvolta non hanno nè voglia, nè tempo (soprattutto in questo periodo in cui il lavoro è aumentato a dismisura anche a causa della Zoom Dismorfia) da dedicare per un confronto franco e sincero su quelle che sono le aspettative, le richieste e le motivazioni del paziente.
Ecco perchè è importantissimo rivolgersi a professionisti, non solo esperti e seri, ma che mostrano anche buone capacità empatiche e di ascolto.
Ieri, ad esempio, ho letto questo post su Facebook, diffuso dalla AICPE (Associazione Italiana Di Chirurgia Plastica Estetica).

L’ho trovato aberrante, fuorviante e semplicistico. Ed ho risposto in questo modo:
“Dipende dal disagio psicologico. Ci sono donne o uomini che non si piacciono neppure dopo milioni di interventi chirurgici. Sarebbe compito di un medico coscienzioso indagare e valutare, prima di sottoporre un paziente ad un intervento di qualunque tipo. Chirurgico o meno. La chirurgia non è la soluzione a tutti i problemi. Magari lo fosse…. “
Se andiamo avanti di questo passo, con messaggi di questo tipo, altro che Zoom Dismorfia…. e disagi vari. Quindi ribadisco, attenzione alla scelta del medico .
Perchè mi dispiace dirlo, ma alcuni professionisti (per fortuna la maggior parte sono seri ed onesti) pur di soddisfare il paziente (e intascare denaro) sono disposti anche ad impiantare il terzo occhio.
Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate.
BIBLIOGRAFIA
A Pandemic of Dysmorphia: “Zooming” into the Perception of Our Appearance.Rice SM, Graber E, Kourosh AS.Facial Plast Surg Aesthet Med. 2020 Nov/Dec
#Sleepyteens: Social media use in adolescence is associated with poor sleep quality, anxiety, depression and low self-esteem.Woods HC, Scott H.J Adolesc. 2016 Aug;
Focal Length Affects Depicted Shape and Perception of Facial Images.Třebický V, Fialová J, Kleisner K, Havlíček J.PLoS One. 2016 Feb
Obsession with perfection: Body dysmorphia.Vashi NA.Clin Dermatol. 2016 Nov-Dec
The Selfie Paradox: Nobody Seems to Like Them Yet Everyone Has Reasons to Take Them. An Exploration of Psychological Functions of Selfies in Self-Presentation.Diefenbach S, Christoforakos L.Front Psychol. 2017 Jan
Selfies-Living in the Era of Filtered Photographs.Rajanala S, Maymone MBC, Vashi NA.JAMA Facial Plast Surg. 2018 Dec
Does taking selfies lead to increased desire to undergo cosmetic surgery.Shome D, Vadera S, Male SR, Kapoor R.J Cosmet Dermatol. 2020 Aug