Nell’articolo Riportiamo indietro le lancette dell’orologio: in arrivo la pillola anti-età avevo sostenuto che nonostante le cause dell’invecchiamento restino ancora un mistero, mentre sono noti i suoi effetti e gli scienziati non abbiano ancora dato una risposta certa e definitiva alla domanda cruciale “perché invecchiamo”, di recente moltissimi ricercatori in più parti del mondo, con percorsi diversi, stanno cercando di mettere a punto l’elisir di lunga vita.
E in alcuni casi sembra proprio che ci siano riusciti, per ora, almeno con i topi.
Continuamente escono notizie riguardanti nuove ricerche messe a punto da prestigiose università e a da eccellenti ricercatori che hanno come obiettivo quello di sconfiggere le cause che determinano l’invecchiamento. Ritengo che siano interessantissime perché dimostrano quanto fermento ci sia dietro a quest’argomento.
Proprio a dimostrazione di questo fermento e di quanto sia forte la volontà di esaudire il sogno dell’eterna giovinezza c’è un altro studio uscito quasi in concomitanza con quello citato nell’articolo Riportiamo indietro le lancette dell’orologio: in arrivo la pillola anti-età pubblicato a Marzo 2017 su Cell “Targeted Apoptosis of Senescent Cells Restores Tissue Homeostasis in Response to Chemotoxicity and Aging”.
Si tratta di una ricerca condotta da un gruppo di scienziati dell’ Erasmus University Medical Center, di Rotterdam in Olanda, coordinati da Peter de Keizer, biologo, che prende in considerazione le cellule cosiddette “senescenti”, troppo vecchie e danneggiate per potersi dividere e svolgere ancora la loro funzione all’interno di un tessuto. Si tratta di cellule che non muoiono né vengono eliminate dall’organismo, ma si accumulano esercitando un’azione nociva. In pratica continuano a secernere ogni tipo di proteina incluse le citochine (proteine di piccole dimensioni che si legano a specifici recettori presenti sulla membrana e comunicano alla cellula un’istruzione specifica come, ad esempio, crescere, differenziarsi o morire) che provocano infiammazioni dei tessuti, causandone un invecchiamento più veloce oltre a comportare il cattivo funzionamento di alcuni organi. Sembra che svolgano anche un ruolo negativo nei confronti dei tumori, accelerandone la crescita e rendendoli meno sensibili alla chemioterapia.
Il gruppo di scienziati, dopo quattro anni di studio, ha messo a punto un peptide (cioè un frammento di proteina) chiamato Proxofim che riconosce le cellule invecchiate e selettivamente le distrugge.

Ed, al momento, lo ha testato con successo su topi da laboratorio.
In pratica le cellule “senescenti”, in un processo non alterato, trasmettono il loro danno al DNA che dovrebbe stimolare una proteina protettiva, chiamata p53, che avendo la funzione di monitorare l’integrità del DNA stesso è in grado di innescare il suicidio delle stesse cellule senescenti e di eliminarle dunque dai tessuti. Ma gli scienziati hanno osservato che esiste una proteina “traditrice” che si chiama FOXO4, che comunica alla proteina p53, di non intervenire inducendola a non svolgere il suo lavoro di “killer” anche quando ce ne sarebbe bisogno.
Il peptide agisce bloccando proprio FOXO4, in modo tale da spingere le cellule senescenti al suicidio, risparmiando le cellule sane.
“Proxofim è effettivamente riuscito a distruggere le cellule senescenti, e solo quelle” ha spiegato de Keizer dopo i primi test sulle cavie.
Al momento il peptide è stato testato con successo su topi da laboratorio.
La sostanza è stata somministrata a tre gruppi di topolini:
- il primo costituito da normali topolini anziani (con un’età equivalente ai novant’anni nell’uomo),
- il secondo formato da topolini modificati geneticamente per invecchiare a una velocità doppia,
- il terzo formato da animali invecchiati precocemente per effetto di chemioterapia.

Le cavie ad invecchiamento accelerato a cui è stato somministrato il peptide hanno:
- recuperato il pelo, dopo dieci giorni di trattamento,
- le performance fisiche (determinate dal numero di giri sulla ruota) sono raddoppiate rispetto ai topi a cui non era stato somministrato il farmaco, dopo 20 giorni di trattamento,
- i reni hanno recuperato la funzionalità tipica dei topolini giovani, a distanza di un mese dall’inizio delle infusioni.
Dopo dieci mesi, con tre infusioni a settimana, i ricercatori sostengono di non aver notato nessun effetto collaterale sugli animali, “anche se, va detto, che i topi non possono parlare” ha sostenuto de Kaizer.
E’ necessario sottolineare che il peptide sviluppato può essere somministrato solo tramite inalazione o infusione in quanto, sotto forma di pillola, verrebbe distrutto dall’apparato digerente e quindi non assimilato.
L’obiettivo dello scienziato è ora quello di fondare una società che offra anche agli uomini, e non solo ai topi, somministrazioni periodiche del peptide.
Ma sarà indispensabile dimostrare fino in fondo che il potenziale elisir di lunga vita è davvero sicuro ed efficace sull’uomo.
In ogni caso, a breve, all’Erasmus University inizieranno i test su pazienti malati di glioblastoma, un tumore del cervello, in cui le cellule presentano valori molto alti di FOXO4. Lo scopo degli scienziati è quello di determinare se Proxofim sia in grado di distruggere anche le cellule tumorali, che sembrano condividere alcune somiglianze con le cellule “senescenti”.
Trovo davvero affascinanti questi studi. Chissà davvero se un giorno come dice Aubrey de Grey nel suo libro “La fine dell’invecchiamento: come la scienza potrà esaudire il sogno dell’Eterna Giovinezza” andremo dal medico non tanto per curare le malattie legate alla vecchiaia, ma la vecchiaia stessa, intesa non come qualcosa di generico ed ineluttabile, ma come una malattia.
E anche de Kaizer sostiene che “tra non molto un sessantacinquenne potrà recarsi in clinica per seguire, ogni cinque anni, un trattamento anti-senescenza e ne uscirà decisamente ringiovanito”.
Io credo davvero che la scienza, in un futuro ormai prossimo, ce la farà a regalarci una vita più lunga e soprattutto priva di alcune di quelle malattie invalidanti che la vecchiaia porta con sè.
Spero solo di riuscire a vivere abbastanza a lungo per poter vedere questa nuova alba della medicina.