Gli studi sulla longevità mi affascinano incredibilmente.
Attualmente nei laboratori di tutto il mondo i ricercatori sono al lavoro su circa 200 composti, detti geroprotettori, ossia molecole che potrebbero rallentare l’arrivo delle malattie legate all’età e garantire una vecchiaia in salute. L’età rappresenta infatti il più grande fattore di rischio per quasi tutte le principali cause di morte e disabilità nelle nazioni sviluppate.
Secondo James Brewer, chief medical officer di Human Longevity (www.humanlongevity.com ), una start-up che ha tra i suoi fondatori Craig Venter, il controverso decodificatore del genoma umano, entro il 2060 l’uomo potrà tranquillamente arrivare fino a 140 anni con le tecnologie oggi allo studio o sottoposte a verifica clinica.

Il sogno di una “pillola di lunga vita” non ha stimolato solo la scienza, ma anche il business.
Google ha fondato nel 2013 una compagnia, la Calico, specializzata in studi sulla longevità ingaggiando alcuni pesi massimi della biologia, investendo un miliardo di dollari.
E anche Mark Zuckerberg ha annunciato di voler destinare il 99% delle azioni del social network (valore 45 miliardi di dollari ) alla ricerca chiedendosi: “Può la nostra generazione curare le malattie in modo che sia possibile vivere una vita più lunga e in salute?”. Attualmente ha già investito tre miliardi di dollari in questo campo, attraverso la fondazione creata assieme alla moglie, la “Chan Zuckerberg Initiative”.
Anche Jeff Bezos di Amazon insieme a Peter Thiel, ideatore di Pay-Pal e ad altri investitori, ha finanziato per 35 milioni di dollari la Unity Biotechnology ( www.unitybiotechnology.com )una start up che sta sviluppando farmaci potenzialmente in grado di arrestare, rallentare, invertire il processo d’invecchiamento.

Già a febbraio 2018 la professoressa Ilaria Bellantuono, MD, PhD all’Università di Sheffield (Gran Bretagna), aveva pubblicato su Nature un articolo “Find drugs that delay many diseases of old age.” che poneva l’accento sull’importanza di accelerare l’arrivo sul mercato di tutti quei farmaci capaci di rallentare il processo di invecchiamento che sarebbero in grado di metterci in una condizione di perenna giovinezza o, comunque, di posticipato invecchiamento riducendo l’insorgenza delle malattie legate all’età, come avviene nei giovani.
Nell’articolo la ricercatrice sostiene che, ad oggi, le molecole più promettenti per contrastare il processo degenerativo legato all’invecchiamento e le malattie che ne conseguono siano:
- la rapamicina,
- le sostanze in grado di spazzare via le cellule senescenti (art. L’elisir di lungavita che spazza via le cellule senescenti),
- la metformina, (di cui parlerò in un prossimo articolo).
Cosa è la rapamicina?
Si tratta di una sostanza prodotta da un batterio (Streptomycs hygroscopicus) scoperto nel 1969 in alcuni campioni di terreno sull’isola di Pasqua. E’ un antibiotico di origine naturale, conosciuto anche col nome di sirolimus (nome commerciale Rapamune) , dotato di un forte potere immunosoppressore e approvato nel 1999 dall’FDA.
Quali sono le patologie in cui viene impiegata la Rapamicina
Attualmente la rapamicina, ad alte dosi, viene impiegata,
- nei trapianti d’organo, per prevenirne il rigetto,
- come antitumorale,
- per il trattamento della linfangioleiomiomatosi, una rara malattia polmonare
Come agisce la rapamicina
La Rapamicina agisce su una specifica proteina, mTOR, (acronimo di mammalian target of rapamycin, bersaglio della rapamicina nei mammiferi), profondamente implicata nella regolazione, crescita, proliferazione, motilità e sopravvivenza delle cellule, inibendola e prolungando di fatto la durata della vita.
Le sperimentazioni sulla Rapamicina
Per ora questa molecola, somministrata a basse dosi, si è dimostrata capace nell’allungare la vita di vermi e topolini da laboratorio di circa il 25% senza effetti collaterali.
Somministrata nei topi più anziani, la rapamicina, ha infatti dimostrato di migliorare le loro condizioni cardiache e di ritardare l’insorgenza di alcune malattie.
Già a settembre 2012 su Stem Cell Reviews and Reports fu pubblicato un articolo mTOR inhibition prevents epithelial stem cell senescence and protects from radiation-induced mucositis. relativo ad uno studio nel quale era emerso che la somministrazione per due settimane di rapamicina su animali di laboratorio , esercitava un effetto positivo sulle cellule staminali prevenendone la senescenza ed indirizzandole in una direzione opposta a quella normalmente osservata in un organismo invecchiato.
Successivamente, a gennaio 2015, uno studio della Novartis di Siena e Boston, condotto insieme alla Stanford University in California e pubblicato sulla rivista Science Translational Medicine “mTOR inhibition improves immune function in the elderly.” indicava la rapamicina come una sostanza capace di spegnere un ”interruttore molecolare” (chiamato mTor) in grado di rallentare l’invecchiamento e ringiovanire il sistema immunitario nell’anziano.
I ricercatori avevano dimostrato che gli anziani che avevano ricevuto una dose sperimentale di rapamicina:
- sviluppavano il 20 per cento di anticorpi in più contro l’influenza in seguito al vaccino,
- avevano un sistema immunitario che appariva ringiovanito, ed in particolare presentava un minor numero di cellule che di norma ostacolano il buon funzionamento delle difese immunitarie.

Gli studi condotti fino ad oggi sono stati così promettenti che due biogerentologi dell’università di Washington a Seattle, Matt Kaeberlein e Daniel Promislow, hanno iniziato una sperimentazione su 40 cani (www.dogagingproject.com), mammiferi più complessi di un topolino e, per alcuni aspetti, molto più simili all’uomo, coinvolgendo anche i loro padroni. Sono stati selezionati cani con età dai sei anni in su (corrispondenti più o meno ai nostri 50 anni) e che, come gli esseri umani, presentano articolazioni rigide, pelo brizzolato e colesterolo un po’ alto’.
I ricercatori sostengono che, mentre se somministrata ad alte dosi la rapamicina può avere effetti collaterali negativi, quali la riduzione delle difese immunitarie e la guarigione ritardata della ferite, a basse dosi, tali effetti sono completamente assenti o molto rari.
Ad agosto 2016 è stato completato lo studio di fase 1, la fase iniziale della sperimentazione, e i risultati principali del trattamento con rapamicina hanno riguardato:
- gli effetti collaterali che sono risultati assenti o non significativi,
- i miglioramenti, statisticamente significativi, nella funzionalità cardiaca dei cani trattati con rapamicina rispetto a quelli che hanno ricevuto il placebo.
I due scienziati aggiungono che indipendentemente dai risultati dei test, il parere dei proprietari è molto favorevole: la padrona di Bela, un border collie di 8 anni, ad esempio, afferma che, da quando la sua cagnolina ha iniziato il trattamento con la rapamicina, sembra molto più scattante e vivace: vuole correre, giocare, stare all’aria aperta.

Visti i primi risultati, altamente incoraggianti, i ricercatori hanno deciso di intraprendere la prossima fase di sperimentazione ampliando lo studio: riguarderà 450 cani adulti che verranno seguiti per un periodo da tre a cinque anni. L’obiettivo è quello di riuscire a prolungare la durata della loro vita di 2/5 anni entro i prossimi 5 anni.
Gli autori dello studio sono convinti che, dimostrando che il farmaco funziona sui cani, sarà possibile convincere i governi e le varie associazioni a puntare sempre più su questo campo di ricerca avviando la sperimentazione anche sull’uomo.
Credo davvero che se la ricerca continuerà a questi ritmi, la possibilità di allungare la vita in buona salute grazie al ricorso ad ingegneria genetica, medicina rigenerativa e nanotecnologie, sia sempre più vicina.