Protesi al seno e rischio linfoma. Facciamo informazione e…..chiarezza

Indice

Scrivo questo post con il semplice scopo, non di generare allarmismo o “terrorismo”, ma di divulgare un’informazione di cui non ero a conoscenza e sulla quale  la comunità scientifica sta cercando di fare chiarezza.

Scrive una ragazza nella pagina dedicata al prof. Tremolada nella nuova sezione del blog in cui i lettori possono porre domande ai medici :

“Buonasera, ho avuto un linfoma non Hodgkin a grandi cellule in conseguenza ad impianto di protesi per mastoplastica additiva estetica. Il 16 agosto del 2017 mi sono state rimosse entrambe le protesi ed  attualmente sono sottoposta a controlli connessi al linfoma. Non ho dovuto effettuare né chemio né radioterapia. L’operazione è stata condotta realizzando anche una mastopessi del tessuto svuotato Purtroppo il seno sinistro si presenta più svuotato del destro e con rugosità della pelle. Non so come altro potrei descriverla. Sono di corporatura normale non particolarmente magra ma neanche rotonda. Ho letto del lipofilling e di altre metodiche a cui posso ricorrere per la ricostruzione del seno. Vorrei sapere se, allo stato attuale , posso pensare a un rimpianto delle protesi oppure quali sono le altre metodiche ricostruttive realmente percorribili nelle mie condizioni. Grazie”.

Resto di sasso. Ma come le protesi provocano linfoma non Hodgkin e nessuno lo scrive? Ma quale tipo di protesi?

Comincio ad informarmi a chiedere in giro. Tra l’altro in privato mi scrive una ragazza, allarmata dalla notizia, che deve operarsi di mastoplastica additiva e che mi aveva già contattato per chiedere consigli. Anche lei comincia ad informarsi e in rete troviamo un articolo di Tiziana Moriconi  uscito su Repubblica.it il 29 novembre 2018 nella rubrica Salute Seno (https://la.repubblica.it/saluteseno/news/protesi-al-seno-e-rara-forma-di-linfoma-si-continua-a-indagare/7520/?ref=fbpd ) che riporto integralmente  in cui si dice:

“La possibile relazione con una rara forma di tumore del sangue, il linfoma anaplastico a grandi cellule, è sospettata da diversi anni. Ora la Francia chiama a raccolta pazienti, medici e aziende per avere nuovi dati. Intanto chiede ai chirurghi di utilizzare le protesi lisce anziché quelle ruvide, associate a un rischio maggiore

La notizia riguarda la Francia ma è già rimbalzata nel Regno Unito ed è destinata a far rumore un po’ ovunque. L’argomento non è nuovo – la possibilità, seppur rara, che le protesi al seno diano luogo a un raro tipo di linfoma – ma è nuova la decisione dell’Agence nationale de sécurité du médicament et des produits de santé (Ansm, il corrispettivo della nostra agenzia del farmaco): il 7 e l’8 febbraio 2019 ascolterà pazienti, medici e altri attori coinvolti per capire se sia il caso o meno di sospendere l’utilizzo delle protesi con superficie ruvida (o rugosa), che sembrano maggiormente associate al linfoma. Nel frattempo, a scopo precauzionale, ha invitato i chirurghi plastici e ricostruttori ad utilizzare in via preferenziale le protesi lisce.

IL POSSIBILE NESSO TRA PROTESI MAMMARIA E LINFOMA

Il linfoma anaplastico a larghe cellule è un raro tumore del sangue. Di rado può svilupparsi intorno a una protesi mammaria (in questo caso prende il nome di BIA-ALCL, da Breast Implant-Associated Anaplastic Large Cell Lymphoma). Il sintomo più comune è la comparsa di un sieroma freddo intorno alla protesi (diagnosticato con esame citologico del siero o con un esame istologico). Nella chirurgia ricostruttiva dopo tumore al seno, le protesi a goccia con la superficie rugosa sono oggi le più utilizzate, perché conferiscono al seno una forma più naturale e, grazie alla texture, sono più stabili. Si ipotizza che, proprio per l’attrito, la superficie rugosa possa indurre più facilmente un microambiente pro-infiammatorio cronico, che potrebbe favorire la degenerazione dei linfociti T. L’insorgenza dei sintomi varia da 1 a 22 anni dall’impianto, con un tempo medio di 6,8 anni. Il tempo medio alla diagnosi, invece, è di 7,8 anni dalla comparsa dei primi sintomi.

LA STORIA

I sospetti di una possibile associazione tra protesi e ALCL sono cominciati nel 2011, quando la Food and Drug statunitense riportò che un numero anomalo di casi riguardavano l’area intorno alla protesi mammaria in donne che avevano eseguito un intervento estetico o ricostruttivo. In seguito, nel 2016, l’Organizzazione mondiale della sanità aveva riconosciuto e definito questa particolare e rarissima forma di linfoma. Un anno dopo, nell’ottobre 2017, la Scientific Committee on Health Environmental and Emerging Risks (SCHEER) ha raccomandato alle società scientifiche di condurre una valutazione più approfondita sulla possibile associazione tra le protesi mammarie e l’insorgenza di questa patologia poiché, data la bassa incidenza, i dati scientifici ad oggi disponibili non consentono di fare una valutazione del rischio. “Attualmente – riporta il sito del nostro Ministero della Salute – a fronte di oltre 10 milioni di protesi mammarie impiantate, il numero di casi di BIA-ALCL resta estremamente basso e non offre dati statisticamente significativi che possano mettere in correlazione l’impianto con l’insorgenza di questa nuova patologia. La mancata significatività dell’esiguo numero di casi riportati in letteratura scientifica non può tuttavia esimere dal continuare a studiare questa patologia emergente, al fine di definire meglio la reale frequenza, cause, aspetti clinici, decorso, prognosi e trattamento”.

IN ITALIA

Dal 2015 (da quando vi è l’obbligo della segnalazione) esiste nel nostro un database ministeriale che ha raccolto 30 casi di BIA-ALCL. “Sono circa 49.000 le protesi mammarie impiantate ogni anno in Italia – riporta ancora il sito – e benché il numero di casi risulti essere molto basso in rapporto al numero di dispositivi utilizzati, riteniamo di dover continuare a seguire il problema”. Sempre secondo il Ministero (che collabora con quelli di altri paesi dell’Eu per la raccolta dei dati) si stima che l’incidenza in Italia sia di 2,8 casi su 100.000 pazienti a rischio (dato riferito al 2015).

LA MOSSA FRANCESE

La Francia si era mossa anche prima, con un programma di sorveglianza promosso dalla Direction générale de la santé (DGS), dall’Institut National Du Cancer e dall’Ansm già nel 2011: da allora, nel paese sono stati confermati 53 casi di BIA-ALCL, la maggior parte dei quali in chi ha protesi ruvide. L’Anms ha anche già riunito un gruppo di esperti in chimica dei polimeri, biocompatibilità dei materiali, chirurgia plastica e ricostruttiva, immunologia, tossicologia e patologia al fine di studiare la relazione tra il linfoma e la superficie degli impianti. Prima di prendere una decisione, però – riporta l’agenzia francese – darà luogo all’audizione pubblica (che sarà trasmessa in diretta su YouTube il 7 febbraio) aperta a cittadini, rappresentanti delle pazienti, società di chirurgia estetica e senologica, oncologi, università e ad aziende che producono le protesi mammarie.”

Chiedo sconcertata alla dottoressa Beltrami la quale sta seguendo un master in chirurgia del seno. La dottoressa mi dice che hanno già trattato l’argomento e che i casi, se pur rari (400 in tutto il mondo ), ci sono. Proprio per questo sono state istituite delle Task -force per studiare approfonditamente questo tipo di linfoma che rimane raro e che se diagnosticato precocemente presenta un’ottima prognosi (https://www.rivm.nl/en/medical-devices/silicone-breast-implants/international-meeting-on-bia-alcl.)

Infatti il linfoma anaplastico a larghe cellule è un tumore del sangue raro e che, se scoperto in tempo e curato, non ha conseguenze.

Nella circolare del Ministero della Salute si puntualizza inoltre che “Sebbene una predominanza di casi di BIA-ALCL sia stata riportata nei pazienti impiantati con protesi mammaria a superficie testurizzata, ad oggi, non ci sono evidenze scientifiche che supportino la correlazione causale tra l’insorgenza di questa patologia e il tipo di protesi mammaria”.

Attualmente, è impossibile stimare l’incidenza dei casi di linfomi mammari.

Come riporta il sito del Ministero della Salute “a fronte di oltre 10 milioni di protesi al seno impiantate, il numero di casi resta estremamente basso”. Negli Stati Uniti, dove si eseguono circa 500mila interventi di chirurgia estetica al seno l’anno, dal 2011 ad oggi la Food and Drug Administration ha riportato 359 casi di linfoma anaplastico a larghe cellule in donne che avevano una protesi mammaria, e 9 decessi.

In Italia, sono stati riportati 25 casi su circa 49 mila impianti di protesi l’anno . Dal 2015, comunque, si è registrato un incremento, in seguito all’emanazione di una circolare che aveva come obiettivo quello di sensibilizzare tutti gli operatori sanitari per una una corretta diagnosi di BIA-ALCL in presenza di sintomi sospetti.

Per chi fosse interessato ad approfondire, gli studi che potete leggere al riguardo sono:

Breast Implant-Associated Anaplastic Large Cell Lymphoma: A Systematic Review.Leberfinger AN et al. JAMA Surg. (2017)

22 Cases of BIA-ALCL: Awareness and Outcome Tracking from the Italian Ministry of Health.Antonella C et al. Plast Reconstr Surg. (2017)

What’s Your Micromort? A Patient-Oriented Analysis of Breast Implant-Associated Anaplastic Large Cell Lymphoma (BIA-ALCL).Sieber DA et al. Aesthet Surg J. (2017)

Breast implant-associated anaplastic large cell lymphoma: Clinical and imaging findings at a large US cancer center.Dashevsky BZ, Gallagher KM, Grabenstetter A, Cordeiro PG, Dogan A, Morris EA, Horwitz SM, Sutton EJ., Breast J. 2018 Dec 6

Se pur i casi siano davvero rari, mi auguro che la notizia sia ampiamente diffusa e che le donne, che si apprestano ad effettuare un intervento al seno con protesi mammarie, siano comunque  correttamente informate di tale remota eventualità in modo tale da decidere, in tutta serenità e con consapevolezza,  se affrontare l’intervento e  con quale tipo di protesi. Infatti, dal momento che il linfoma si presenta in larga misura nelle pazienti portatrici di  protesi testurizzate, nonostante non vi siano evidenze scientifiche che supportino la correlazione  tra l’insorgenza della patologia e il tipo di protesi mammaria utilizzata, forse, per precauzione, almeno per il momento, sarebbero da preferire le lisce. Oppure no?

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